Per quanto la medicina e la psicologia ci abbiano insegnato a catalogare e raggruppare il disagio secondo alcuni segni e sintomi più o meno precisi e distinguibili, resta un elemento ineliminabile nella cura del paziente: la sua unicità, ...
Immagine interna di un caleidoscopio.
Per quanto la medicina e la psicologia ci abbiano insegnato a catalogare e raggruppare il disagio secondo alcuni segni e sintomi più o meno precisi e distinguibili, resta un elemento ineliminabile nella cura del paziente: la sua unicità, il suo essere ‘in-dividuo’ (quindi, etimologicamente: ‘che non si può dividere’), il suo rappresentarci un universo a parte, originale e nuovo. Anche la modalità con la quale una persona si presenta in consultazione, per la prima volta, rivela la sua personalità in modo inimitabile: spesso, anzi, è proprio questa prima impressione quella che più colpisce e resta scolpita nella mente di noi terapeuti.
Nella maggioranza dei casi, il primo colloquio genera nelle persone una certa dose di ansia: questo è normale, un terapeuta capace e con una discreta esperienza conosce l’importanza di questo primo passo e sa empatizzare con il paziente, al fine di metterlo a proprio agio. Aprirsi, così, all’improvviso, ad un terapeuta sconosciuto, dopo magari una vita trascorsa all’asciutto da psicologia e introspezione, non è un gioco da ragazzi e ogni persona ha bisogno dei propri tempi per sentirsi serena, libera di mostrare il proprio mondo interiore senza paura di essere giudicata o fraintesa.
L'immagine di un mandala, simbolo della cultura Veda, utilizzato anche nella riflessione junghiana: rimanda al concetto di 'inconscio collettivo' e al processo di individuazione.
Ci sono persone che approcciano la consulenza psicologica ‘in punta di piedi’, quasi sussurrando certe frasi a tal punto che il terapeuta rischia di non sentire acusticamente alcune parole … E’ importante ricordarsi che il colloquio con uno specialista non è un soliloquio ma un dialogo a due, nel quale il paziente può farsi spazio ed essere se stesso: nessuna offesa, quindi, se lo psicologo si permette di chiedere al paziente di ripetere alcune parole o di aumentare il volume della voce, in modo da facilitare l’accesso al mondo psicologico dell’altro.
Altri pazienti, al primo colloquio, tra l’ansia dell’ignoto e il carico di conflitti da tempo accumulati, esplodono in un pianto irrefrenabile ma liberatorio: spesso alcuni, dopo il primo incontro, riportano sensazioni di ‘catarsi’ miste a grande stanchezza che, talora, sfociano in un buon sonno ristoratore.
Immagine tratta da deviantart.com (@ The-Meeg)
Altri ancora, abituati a combattere e controbattere a tutto e a tutti, affrontano il primo colloquio psicodiagnostico come se fossero ‘in trincea’: affilano i coltelli, le unghie e si mettono in posizione difensiva, rifiutando magari alcune chiarificazioni o cercando di eludere le domande della psicologa. Naturalmente, in questi casi, è sempre bene ricordare che la psicoterapia deve essere scelta in modo libero e responsabile: è fondamentale non sentirsi 'obbligati' ad intraprendere questo percorso e se non ci si sente davvero convinti è meglio lasciar stare. Si tratta di un modo per risolvere problemi, non per crearne di nuovi!
Esistono infiniti modi di affrontare una consulenza psicologica e ogni paziente, per noi terapeuti, rappresenta in ogni caso una fonte di arricchimento: mai dimenticare che, al di là di quello che per convenzione definiamo ‘paziente’ c’è la persona, con la sua storia di vita, le sue relazioni, le difficoltà per le quali è venuta al colloquio e i suoi punti di forza che vanno rilevati e senza dubbio valorizzati.
Inseguendo una libellula in un prato
un giorno che avevo rotto col passato
quando già credevo d'esserci riuscito
son caduto.
Lucio Battisti